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Prova di resilienza eseguita mediante il pendolo di charpy

La prova di resilienza è in grado di dare indicazioni sulla resistenza agli urti attraverso l'assorbimento di energia.

10 agosto 2020
Charpy

Con il termine resilienza, in ingegneria, si intende la capacità di un materiale di immagazzinare energia di deformazione sia in campo elastico che in campo plastico fino ad arrivare a rottura. La normativa di riferimento per la realizzazione delle prove di resilienza è UNI EN 10045 e vengono realizzate, solitamente, con il pendolo di Charpy.
La realizzazione della prova di resilienza Charpy consiste nel colpire un provino di dimensioni normate con un pendolo andando a misurare l’energia spesa per la rottura del provino tramite la differenza di energia potenziale tra la posizione iniziale del pendolo e la posizione finale raggiunta: in particolare, il parametro più importante è la differenza di altezza del pendolo.


A questo punto, dividendo L per la S0, ovvero la sezione del provino in corrispondenza dell’intaglio, si ottiene l’indice di resilienza:

Fasi necessarie per lo svolgimento della prova di resilienza

Per la realizzazione della prova di resilienza sono necessarie alcune operazioni da svolgere preliminarmente:
a.    Scelta del materiale che si vuole testare;
b.    Individuazione della specifica di prova;
c.    Scelta del macchinario con cui svolgere la prova;
d.    Taratura o controllo dei certificati di taratura della macchina.

Bisogna successivamente ricavare le provette su cui svolgere la prova che devono una lunghezza di 55 mm e una sezione quadrata di lato 10 mm, anche se la larghezza può variare fino a 5 mm. Sulla mezzeria della lunghezza è presente un intaglio, perpendicolare all’asse longitudinale, che può essere di due tipi:
-     Intaglio a V a 45° di profondità 2 mm e raggio di fondo intaglio pari a 0,25 mm;
-     Intaglio a U di profondità 5 mm e raggio di fondo intaglio pari a 1 mm.
È fondamentale, per la realizzazione dell’intaglio tramite intagliatrice meccanizzata e trapano a colonna, eseguire le prove con la massima accuratezza in modo da non alterare il risultato della prova successiva.

La prova di resilienza

Per la corretta riuscita dalla prova, risulta necessario misurare preliminarmente la temperatura verificando che si trovi all’interno di un intervallo pari a 23°C più o meno 5°C. Fatto questo è possibile accendere la macchina e fissare il battente nella posizione di partenza, accertandosi che tutte le persone nelle vicinanze siano in posizione di sicurezza. Dando il via alla prova il battente è libero di muoversi ed impattare sul provino opportunamente posizionato in modo da restare fermo ma non vincolato. Dopo l’impatto il pendolo prosegue il suo cammino fino ad arrestarsi elettronicamente: è, quindi, possibile leggere sul display il valore in Joule della resilienza. L’operatore deve poi accertarsi che il provino si sia effettivamente rotto e non solamente deformato. Nel primo caso, si prendono le due parti e si legano tra loro, non facendo combaciare le superfici di frattura per non alterarle nel caso si voglia poi analizzare al microscopio; nel secondo, si segnala che il provino non si è rotto e bisogna tenerne conto poi successivamente in fase di elaborazione dei dati. Un aspetto fondamentale è conservare i provini per un certo tempo, indicato nelle specifiche, per poter permettere eventuali controlli successivi.

 

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